Comunità di Villa San Francesco
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Pubblicato sull'Avvenire sabato 18 luglio 2020
scritto da Marco Roncalli
Da don Milani a Francesco, da Luciani a san Luigi Orione, l’originale collezione liturgica visibile a Villa San Francesco, a due chilometri da Feltre, in provincia di Belluno.
La “Casa delle stole” non è il nome di una sartoria o di un negozio per ecclesiastici come se ne vedono talvolta nei pressi delle cattedrali di grandi città. No. È una galleria singolare, un po’ museo, un po’ luogo di memoria, un po’ spazio di riflessione – tutta da scoprire insieme al Museo dei sogni, della memoria, della coscienza e dei presepi - presso Villa San Francesco, a due chilometri da Feltre in provincia di Belluno.
Qui, a Facen di Pedavena, nella sede della comunità diretta da Aldo Bertelle e aperta all’accoglienza di minori e giovani in gravi difficoltà, l’oratorio San Francesco Saverio custodisce questa originale collezione che l’ha fatto chiamare la “Casa della stole”. Un ambiente che con il suo patrimonio di quasi cento insegne liturgiche appartenute a santi, Pontefici, martiri, fondatori di comunità, religiosi, sacerdoti impegnati su tanti fronti, vuole ricordarne le testimonianze attraverso queste strisce di stoffa simbolo della loro obbedienza al «giogo del Signore», il Vangelo, come pure emblema di virtù richieste ai sacerdoti quali l’umiltà, la purezza, la sapienza, la pazienza, la fortezza.
Ma le stole di Villa San Francesco – anche se in più casi di valore artistico – non sono solo oggetti esposti: escono dalle bacheche e vengono indossate da vescovi, sacerdoti, diaconi, durante gli incontri di preghiera comunitaria ai quali partecipano moltissime persone in visita alla comunità e alle sue esposizioni. Sono queste anche le occasioni per far conoscere le persone consacrate, famose e non (almeno ai più giovani), alle quali le stole sono legate: sino ad esprimerne le cifre peculiari.
Gli esempi? Una stola di san Leopoldo Mandic, portata da don Gianfranco Zenatto, presbitero padovano (“La Chiesa della penitenza”). Una indossata da san Luigi Orione, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Due stole di san Giovanni XXIII (“La Chiesa del Concilio” e “La Chiesa della bontà”): una trasmessa dall’ex segretario poi cardinale centenario Loris Capovilla (presente pure con una sua stola), l’altra indossata da patriarca di Venezia per la visita alla comunità il 22 aprile 1954, sei anni dopo la fondazione.
Un’altra stola di un altro patriarca di Venezia poi Papa è quella di Albino Luciani, da lui pure indossata in una visita a Villa San Francesco il 18 maggio 1978 (“La Chiesa dell’umiltà”). Ma c’è pure una stola adoperata da papa Francesco nella visita pastorale alla parrocchia romana di Ognissanti dell’Opera della Divina Provvidenza di don Luigi Orione (“La Chiesa delle periferie”), e una donata da Benedetto XVI e trasmessa dal segretario particolare, l’arcivescovo Georg Gänswein (“La Chiesa del Libro”).
E ancora la stole del vescovo Helder Camara indossata nella sua visita alla comunità il 28 e il 29 novembre 1986 (“La Chiesa della profezia”); quelle di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia (“La Chiesa della fraternità”), di don Lorenzo Milani (“La Chiesa dell’amore”), di padre David Maria Turoldo (“La Chiesa della Corsia dei servi”), del vescovo Antonio Riboldi (“La Chiesa della legalità”), del fondatore della Comunità di Taizè, frère Roger Schutz (“La Chiesa ecumenica”).
E potremmo continuare ricordando padre Michele Piccirillo, don Alessandro Pronzato, il cardinale Ersilio Tonini. Insomma le loro stole e le loro storie.
L’ultima stola accolta nei giorni scorsi, in attesa di ottenerne una indossata, riguarda il comboniano Ezechiele Ramin, martire in Brasile il 24 luglio di 35 anni fa del quale è in corso la causa di beatificazione. La sua figura sta così a cuore ad Aldo Bertelle che ha chiesto a Giancarlo Frison di disegnarne una in sua memoria: come l’artista ha fatto con esito straordinario affiancando i segni dell’assassinio a quelli degli ideali missioni.
La prossima stola in arrivo è quella Gioacchino Muccin, vescovo che ha gioito per il Concilio e sofferto per la tragedia del Vajont. Un’ altro paramento a ricordarci che, detto con don Tonino Bello, nel tempo in cui i «diritti di stola stanno scomparendo» l’«unico panno» di riferimento resta quello del «servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo». E così concludeva il vescovo della «Chiesa del grembiule», che lascia, o tralascia, i segni del potere e sceglie il potere dei segni: «Stola e grembiule sono il dritto e il rovescio dello stesso paramento sacro: la stola che ci fa ministri del Vangelo e il grembiule che ci fa lavapiedi del mondo».