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07/01/2014

Il museo dei ricordi che pesano

Il Venerdì di Repubblica - Il museo dei sogni che pesano

Il Venerdì di Repubblica - Il museo dei sogni che pesano

di Gian Luca Favetto

Feltre (Belluno) – Acqua e terra, Di questo è fatto il mondo. E qui lo raccolgono, a pezzo a pezzo, a goccia a goccia. Gli offrono casa nell'ex stalla di una cascina diventata cooperativa, sede della Comunità Villa San Francesco, alla periferia di Feltre, sulla strada per Belluno, un angolo di Veneto sotto le montagne. Ci vogliono tre, quattro ore per fare il giro del mondo in centotrenta metri quadrati. Sono più di trecento pietre, sassi e terre, più di trecento acque e altrettante storie. Il Mekong e Auschwitz. Il Muro di Berlino e la terra di Capaci e Palermo, dove hanno ammazzato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Buckingham Palace e Qom, la città santa iraniana. Un pugno di creta del Monte Nebo, da dove Mosè contemplò la Terra promessa, e un sasso raccolto davanti alla tomba di Shakespeare. Il Bosforo e l'Alaska.

Lo chiamano museo dei sogni e della memoria. Più di un museo, è un viaggio, un'esperienza, un'enciclopedia di storie e geografie. L'idea è venuta ai ragazzi e agli educatori di Villa San Francesco, una casa famiglia per minori in difficoltà. Era il dicembre del '98. Spiega il direttore Aldo Bertelle, vulcanico seminatore di domande: “Il museo si basa sul concetto che l'umanità condivide lo stesso destino. Tutto quello che succede sulla Tera tocca ciascuno di noi. Allora, è il caso di provare a conoscere le storie lontane, di leggerle attraverso i sogni e i simboli che ricordano grandi personalità e grandi avvenimenti. Così abbiamo scritto ai rappresentanti di tutti i Paesi chiedendo di mandarci i loro sogni”.

Provate a chiedere, a presidenti e primi ministri, un sogno della loro terra. Indietro spesso ritornano silenzi. Cercavano cose belle, ottenevano ricordi di tragedie: questo abbiamo prodotto. Il presidente austriaco ha risposto: “Non posso aderire, perché nessun mio predecessore ha mai aderito a una proposta simile”.

Ci vuole più concretezza, hanno pensato gli idealisti di Villa san Francesco. Una cosa salda su cui poggiare i sogni è la terra, ed esiste dappertutto.

Questo, allora, hanno chiesto di ricevere: terra e sassi. E terra e sassi sono cominciati ad arrivare. Portati in treno, in bici, a piedi, chiusi nelle borse, in buste, in scatole, in valigie diplomatiche che hanno viaggiato in nave, in aereo. Qualche scatola è atterrata con il paracadute. Così a Feltre si vedono, uno accanto all'altro, un sasso rosa della casa di Ytzhak Rabin e uno giallo dell'edificio di Ramallah dove abitava Yasser Arafat; un frammento della cripta della Natività e uno del Santo Sepolcro; una pietra a forma di cuore che viene da Fuente Vaqueros, dove nacque Garcia Lorca e una del Groote Schuur Hospital di Città del Capo dove, nel '67, Barnard eseguì il primo trapianto di cuore. E ancora: un pezzo di carbone da Marcinelle e la terra di Waterloo; un scisto afgano inviato da Gino Strada e un pezzo del ponte di Mostar; una pietra morbida del gabon che ricorda Albert Schweitzer, una del Cremlino e una della valle del Belice; una scaglia di marmo delle cave di Carrara e un mattone dei cantieri navali di Danzica, terra turca e terra armena, nonché una tegola di Hiroshima. Dopo ONU e UNESCO, Villa San Francesco è l'unica ad avere una testimonianza concreta del disastro atomico. I giapponesi hanno impiegato quasi un anno per verificare se questo ambizioso sogno valesse una tegola. Lo vale.

Qui le storie sono materia. Le tocchi. Sono corpi che contengono il racconto della Terra. Dall'Uzbekistan il pietrisco è arrivato dopo aver “sentito il parere degli studiosi e degli anziani”. Dalle Torri Gemelle, da Ground Zero, dopo il rifiuto del sindaco Giuliani, ilt erriccio è stato portato in tasca da un vigile del fuoco. L'ex presidente del Parlamento Europeo Pat Cox, nell'aprile del 2003, ha riconosciuto: “La vostra singolare e innovativa richiesta ci ha trovati impreparati. Presso la nsotra istituzione è consolidata la pratica di inviare targhe, trofei, medaglie: non ci era mai capitata la richiesta di una pietra”. Non si è arreso all'insolito, però, e ha inviato un reperto proveniente da recenti scavi edilizi.

Da tutti i continenti sono arrivate terre e simboli che tengono vivi sogni e ricordi. “Allora abbiamo pensato di varare un'altra iniziativa” racconta Bertelle, “introdurre in un contenitore un pugno della terra di tutti gli stati del mondo. Cinque anni fa siamo ripartiti con le lettere”. Hanno quasi finito. Nella grande boccia di vetro ci sono 195 Stati, da Andorra allo Zimbabwe, con tanto di certificato. L'ultimo a rispondere è stato il Montenegro. Ne mancano tre: micronesia, Nauru e Tuvalu. Anche l'Italia, in verità.

“Del nostro Paese potremmo prelevare quella che vogliamo” dice Bertelle “ma abbiamo chiesto al Presidente della Repubblica di scegliere una terra simbolica. Ci ha spedito una medaglia d'argento, perché i nostri desideri non sono conformi al protocollo”. Proveranno a inoltrare una nuova richiesta a Napolitano, chissà.

Quando in primavera saranno arrivate tutte, le rimescoleranno per bene. Riempiranno 198 mattoncini di vetro e li manderanno per via diplomatica ai 198 capi di Stato.

Da un paio d'anni, accanto alle terre raccolgono le acque. In parte le conservano in boccette campionate. In parte le lasciano scorrere mischiate insieme da un'anfora di terracotta. Danno l'impressione di un chiacchiericcio allegro, una lingua sorridente e comune. Trecentotrentasette acque, per ora: dal mare di Marsiglia alla sorgente dell'Adige, oceani, laghi, torrenti, i grandi fiumi, la diga del Vajont e il ghiaccio dell'Himalaya. Alla fine, hai guadagnato il tempo speso nella visita. Non hai bisogno di chiedere a che cosa serva tutto questo. Serve al sogno e alla memoria. Serve a costruire una strada, sorride Bertelle. La nostra strada, il nostro cammino.

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