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25/02/2015

APPROFONDIMENTO - A PIEDI IN PRESTITO VERSO L'ALBA

- Lunedì 30 marzo 2015 - IL VOLTO, quel libro da ascoltare.

IL VOLTO, QUEL LIBRO DA ASCOLTARE di Aldo Bertelle

LA GIARA DEL VOLTO

Ho una sete tremenda questa sera, la ho da ieri sera, da quando sono venuto qui in compagnia di Toni e ho sostato a lungo davanti a queste sei giare.

“Che aiuto chiedere, mi sono chiesto, ad Antonio Della Betta? Soltanto quello di farmi compagnia, credevo, perché era certo che non avrebbe potuto aiutarmi a pensare. Quand’ecco mi è venuta un’improvvisa voglia di vedere, come Zaccheo, Gesù di Nazareth tra la folla a Gerico, ed allora ho chiesto a Toni di salire sulle sue spalle di pianta di sicomoro, per vedere più alto, più profondo, più lontano, più pulito.

Dobbiamo riempire stasera la giara del volto, dobbiamo forse mettere in piedi una biblioteca di volti, una casa di libri da ascoltare, più che leggere.

Ero indeciso sulla scelta del passo del Vangelo da abbinare al tema. Ho pensato al Tabor con le tre tende di Pietro, Giacomo e Giovanni. Poi ho rivolto l’attenzione al passo del Vangelo di Giovanni dell’altra domenica che racconta di alcuni Greci che a Gerusalemme chiedono ad Andrea e Filippo di essere mediatori e ponti per poter vedere il volto di Gesù. “E’ una delle prime raccomandazioni umane, nonché amicali” mi sono detto e l’ho in parte scartato.

Ecco Gerico allora, perché il curioso e basso di statura Zaccheo sale e vede certamente, ma rimane tuttavia imbrogliato, perché dal vedere deve poi passare al fare. Incassa quel “Scendi ed apri la porta di casa tua”, anzi del suo cuore, che è un capolavoro di concretezza apostolica, pastorale, umana ed educativa del recente Dottore di Nazareth.

Ed allora questa sesta giara, quella del volto, ci chiama a salire, vedere, capire per rimanere “pasqualmente” imbrogliati, oltre che risorti.

NON BASTA PARLARE DI GESU’

Io ho la certezza di risultare inadeguato nel rispondere all’eventuale domanda di qualche giovane che, come capitò ad Andrea e Filippo, dovesse chiedermi non di parlargli di Gesù, ma di farglielo vedere oggi, duemila anni dopo, quel volto di Gesù di Nazareth.

Ho tre possibilità: la prima, quella di contemplare il volto di Gesù; la seconda quella di dirgli chiaramente che urge farsi largo, anche nel mondo della Chiesa, tra quelli, ancora come a Gerico, che trovano moleste le implorazioni del cieco Bartimeo, quel cieco che urlava perché voleva recuperare la vista e chiedeva pietà, e per questo zittito in quanto disturbatore del quietismo, e ciò è una insopportabile povertà umana e cristiana. La terza possibilità è di salire e vivere da uomo a piedi in prestito verso l’alba dei monti della vita, liberandomi un po’ al giorno di passioni tristi, per rintronarmi invece di passione colma di bellezza ed anima per vivere un cristianesimo che è pasto, festa, strada, trasformazione, testimonianza, parresia.

Chiese e città, cortili e quartieri, seminari e piazze, aule consiliari e scolastiche, corsie ospedaliere e fabbriche, abitate da conciabrocche, profumieri, cuochi, scalatori, testimoni e da questa sera anche floricultori. Solo uno che amava la natura, i campi, i fiori come Gesù, poteva parlare con poesia nei gigli dei campi, porre il volto attento negli uccelli del cielo.

IL VOLTO DELLA FERIALITA’

E’ il volto di quella che, giorno dopo giorno, si orna di solennità muta, discreta, riservata, paziente, credibile, magari di quella che può solo spolverare il “vestì dell’idopera” (vestito feriale) per vivere la festa.

Dal 23 febbraio 2015, in questa quaresima dai piedi in prestito, io ne ho visti di volti qui in questa nostra “sala del tesoro” e se me lo consentite provo a ricordarmene alcuni.

Quando il prof. Carmelo Ghedini ha letto in braille il Vangelo di Giovanni, in questa sala ho visto il volto del cieco nato e quello di Bartimeo.

Francesco presidente di Nomadelfia ha raccontato di Sandro Gozzo, un giovane padovano arrestato per obiezione di coscienza, e ha portato una pietra di grosse dimensioni che servì ad un adolescente per sfondargli la porta dell’ufficio. Ho pensato al volto dei “Beati i pacificatori perché di essi è il Regno dei cieli” nel grande Discorso della Montagna, e quel “Lasciate che i fanciulli vengano a me”. Ho sostato sul volto di tanti educatori, sulle fatiche di tanti genitori nel non loro facile compito di seminare e coltivare vita e alba plurali, mi sono inchinato sul volto di tanti bambini ai quali sono negati a volte i più elementari diritti.

La sera nella quale il diacono Vittorio Dalla Cort, persona in carrozzella, ha benedetto la Comunità e la Maria Rosa Barzan ha posto sulle sue spalle la stola da lei confezionata a maglia, ho incrociato il volto del paralitico issato con le stanghe sul tetto scoperchiato per essere portato davanti a Gesù, come gli ultimi amati 2000 anni fa, come oggi e senza misura dal gesuano, profetizzati di divenire i primi nel Regno eterno dei cieli.

Gianluca Salviato ha raccontato con pudore il suo sequestro in Libia, aiutandoci a pellegrinare sul volto di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico, come lo raccontò il giorno del suo funerale Papa Paolo VI, in una preghiera passata alla storia e non solo cristiana.

Mentre Nieves Rodriguez, suora spagnola, lunedì scorso ci ha fatto capire che anche i volti delle prostitute e non solo quelle che vivono in recupero nella Comunità Kairos con lei a Bergamo, hanno un volto magari segnato da qualche profumo, almeno quello della loro infanzia, ho rivisto il volto di quella donna che all’ora sesta presso un pozzo, quello del “Dammi da bere”, dialoga con freschezza con Gesù, rimanendone estasiata.

Francesco Santon ci ha fatto intravedere il volto di Ubaldo Rei, un alpinista valdostano che gli disse cosa fare in caso di serio pericolo di vita, ciò che lui sperimentò ai 5000 metri di un altro campo base, chiamato a vedere il volto delle vette degli 8000.

Ho immaginato il volto degli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul Monte Tabor, quelli che chiedono con insistenza di rimanere lassù con le tende e ai quali il Maestro non concede il privilegio.

Il Direttore di Servizi Sociali dell’ULSS2 di Feltre Mario Modolo, mi ha rinfrescato il volto del Padre misericordioso, del figlio prodigo, del figlio rimasto incollerito a casa. Che meraviglia quel volto di ritorno, reso significativo dal colore del vestito più bello, sereno dal melodiare delle cetre e flauti di famiglia.

La nostra TeleTU, e sono grato a Francesca per come la dirige, ci ha fatto sostare davanti a profeti come il Vescovo Bregantini e Ernesto Oliviero, testimoni come la Dott.ssa Chinnici, diaconi dell’amore come Suor Lia di Padova.

Le luci accese per la proclamazione della lettura dei Vangeli, e mi sono servito degli evangelisti Giovanni, Matteo e Luca che ringrazio, mi hanno fatto socchiudere gli occhi del mio volto, perché faticavo a vedere volti di uomini uccisi dalla bomba atomica 70 anni fa in Giappone, dalla abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America (150 anni), dell’entrata in guerra dell’Italia nella prima guerra mondiale (24 maggio 1915).

Li ho riaperti per dire grazie al volto di Paolo VI (50 anni dalla chiusura del Concilio Ecumenico), di San Giovanni Bosco (duecento anni dalla nascita), di Papa Giovanni Paolo II, (Giubileo del 2000).

IL VOLTO DELLE PIETRE

Ho ascoltato la voce delle pietre che mi hanno raccontato il viso di Padre Romano Bottegal, di don Virgilio Tiziani con Aldo Bottegal, di Cesare Dalfreddo con la sua famiglia e ho pensato ai volti di mamme e papà ai quali non è stata concessa la grazia di guarigione ai figli, del capitello crollato a Fiere e del forno della Dosolina sempre a Fiere di Facen di Pedavena, che faceva pane lassù per tutti i facenesi quaggiù, pietre raccolte con Pierina e Mauro Dal Pian, della Madonna di Medjugorje, con Davide Torresan, di un laboratorio di falegnameria a Segusino aggredito dal fuoco e spento da una catena umana con secchi d’acqua e di un sasso preso da un capitello mariano dove sostava, un prete padovano molto scomodo, perché volto della Provvidenza, con Agostino Coppe, di quello raccolto dalla Yodit nel cortile della Cooperativa Arcobaleno l’otto di febbraio 2015, quando gli ultimi di quella esperienza solidale sono saliti sulla cattedra dell’amore per raccontare il loro grazie ai sogni, alle terre, alle acque di tutto il mondo.

Serviranno con tutte le altre pietre e sassi che la vostra bontà vorrà regalare ad ognuno di voi per la ri-costruzione del forno del nazaretano in riva al lago di Galilea, da noi al frutteto biblico e dei pensieri in compagnia di tutte le 26 piante da frutto e fiori citate nei 4 vangeli, al Museo dei Sogni, della Memoria, della Coscienza e dei presepi presso la Cooperativa Sociale Arcobaleno ’86 a Feltre.

Chiedo al volto dei 33 giovani inviati speciali di questa quaresima e a quello dei 6 reporter, di spendere una loro carezza su queste pietre, di non temere di accarezzare un volto dipinto da qualche lacrima, squarciato dal dolore, dalla fame, dalla malattia, e di farlo con delicatezza e rispetto.

A voi, Yodit Herods, Alessandro Marcomini, Marika Bianchi, Davide Baldo, Francesco Zago, Tommaso Gasparini, Aurora Mortagna, Daniele Sbardella, Lara Gazzola, Anna Dal Sasso, Alberto Gottardi, Tommaso Favaro, Gualtiero Bettega, Ludovica D’Incà, Yulietta Bertuzzi, Diego Venturin, Mattia De Paoli, Nikita Calmo, Giacomo Dal Sasso, Davide Torresan, Francesca Gaio, Matteo Ambrosi, Giorgia Piolo, Chiara Galli, Fabio Mazzon, Marco De Bastiani, Francesco Giazzon, Giovanni Dal Mas, Alessandro Gabas, Anna Favaro, Gelila Lemma, Emanuele Gaz, Gloria Zoggia, Marcelle Breda Santos, Giorgia Checcheto, Teresa Gaz, Andrea Menin e Giancarlo Ren chiedo con gratitudine ed umiltà di non scindere mai Eucarestia da carità, se vi chiamate cristiani, di non dividere mai cittadinanza dalla Costituzione, se vi pensate cittadini, di non scartare mai umanità da etica, se vi sognate uomini.

Al volto di tutti voi, che anche questa sera siete in tanti quassù su questo mezzo colle, vorrei affidare una preghiera, quella di volere bene al volto degli uomini che incrociate, siano essi con nome o senza nome, bianchi o di altro colore, quelli di tutte le religioni, italiani e non, e quelli provvisti magari solo della carta d’identità di cittadino del mondo.

IL VOLTO DI UN SOGNO

Mai avrei immaginato, pur avendo pensato una quaresima scalza e con i piedi in prestito, di dover dire a me, al vespro comunitario, quanto penso.

Cinque sono stati i Sindaci che hanno proclamato la Parola di Dio, Armando Vello di Lentiai, Sisto Da Roit di Agordo, Lorenzo Zanon di Trebaseleghe, Dario Scopel di Seren del Grappa e Michele Balen di Cesiomaggiore. Cinque i sacerdoti nelle persone di don Samuele Facci, don Edy Savietto, don Paolo Furlan della diocesi di Treviso, Padre Lanfranco Dalla Rizza ofm capp. parroco di Mussoi in diocesi di Belluno-Feltre, Padre Girolamo Preuss monaco certosino e 2 diaconi Vittorio Dalla Cort della diocesi di Belluno-Feltre e Danilo Dal Bosco della diocesi di Vicenza che hanno indossato il giogo, la stola, quella di don Zeno di Nomadelfia, della Maria Rosa Barzan della nostra Comunità, delle studentesse del V anno sezione moda dell’Ist. Brustolon di Belluno, dei laboratori del Beato Angelico a Milano, delle donne palestinesi del Baby Caritas Hospital di Betlemme, stasera del Centro Occupazionale la “Cipressina” di Mestre per benedire tutti noi.

Alla parola giogo ho sempre associato il bue, che senza nulla chiedere ed in silenzio tirava e tira l’aratro, spesso di buon mattino, anche alla luce dell’alba.

Mettiamo mano all’aratro del nostro volto, chiediamogli che ci faccia posare lo sguardo sull’ultimo libro edito dalla Linea Quaderni diretta dall’Avv. Enrico Gaz e che porta per titolo: “I tre mestieri di Dio”, i proventi del quale andranno ad aiutare l’apertura un centro occupazionale per dare un po’ di lavoro e più dignità a due nostre ragazze, che sono qui con noi.

Dice Enrico in un bel passaggio del progetto relativo all’Orma: “Il concorso ed il sostegno all’Orma porrà come iniziativa accompagnata e retta dalla solidarietà popolare, il senso che oltre ai sostenitori primari, verrà attivata una rete diffusa e parallela di supporto da parte di singoli, gruppi, famiglie, associazioni, parrocchie, movimenti, scuole e altre formazioni sociali. Il concorso e il sostegno di questi ultimi verrà proposto sotto la figura simbolica della “decima” biblica, cioè dell’offerta annuale (prevista dal Pentateuco e poi ripresa dalla Chiesa primitiva) della decima parte del prodotto annuale.

Detto altrimenti, si tratta di consorziare le forze personali e sociali disponibili e di buona volontà orientando le loro offerte (di denaro, di tempo, di competenze professionali, di mezzi ed attrezzi, di utilizzo di beni, ecc.) a vantaggio dell’esperienza, come tante piccole “orme” che partono dalle abitazioni, dagli uffici, dai centri pastorali, dagli edifici scolastici e così via e si dirigono verso chi opera nel Centro.

IL VOLTO DI UN SANTO

Abbiamo davanti a noi stasera una inusuale torah, segna il volto di San Giovanni XXIII, alcuni minuti dopo la sua morte e riprende anche la sua mano di padre, pastore e maestro, quella mano che si alzò a chiedere alla luna di aiutarlo a fare una carezza a tutti i bambini del mondo, la sera dell’11 febbraio 1962 per l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.

E’ il ricordo del volto di un adulto rimasto santamente bambino, del volto di un vescovo che non temeva di amare la bontà.

Ho chiesto venerdì mattino al suo antico segretario, il Cardinale ed amico Loris Francesco Capovilla, con che piedi in prestito ha camminato nella sua lunga vita.

Quelli del suo vescovo Radini Tedeschi mi ha prontamente risposto, l’uomo dell’umiltà della povera gente, il vescovo capace della dignità dei maestri, il papa mancato come ebbero a dire al vescovo Roncalli i papi Benedetto XV e Pio XI.

Questa quaresima comunitaria impegnava alla cerca di piedi chiesti in prestito verso l’alba.

Non ho avuto bisogno di pensare a quali piedi a me vicini io abbia chiesto ospizio in tanti momenti della mia vita: ho accarezzato e baciato i piedi in calzini consunti, durante un colloquio determinante, al mio vescovo Vincenzo Savio. Li abbiamo lavati entrambi questi piedi, nati ad Osio Sotto, con l’aiuto provvidenziale delle sue e delle mie lacrime, per catino è bastato il palmo della mia mano destra.

I piedi comunque sui quali ho scritto eterna riconoscenza sono quelli di Don Loris Francesco Capovilla, arcivescovo e cardinale della Chiesa universale, un uomo intero, il padre sicuro, l’educatore fine, il maestro provvisto di anima. Lui conosce il perché.

IL VOLTO DEL TERZO MESTIERE DI DIO

E’ iI volto del “filibustiere”, quello dello Spirito Santo, che soffia e se ne va, e sembra orientarci a porre il volto di tanti di noi della Comunità e non solo, su quello di Issa, questo giovane fratello del Mali di 17 anni, solo al mondo, che presto verrà a vivere con noi.

Se desideriamo tornare a contemplare Gesù, dobbiamo cercare di rimuovere tutto ciò che rende torbido il nostro sguardo, che non ci aiuta a vedere il volto di Gesù nel volto dell’ uomo accanto.

Nella visione dell’Apocalisse, viene detto all’angelo della chiesa di Laodicea: “Ti consiglio di comperare da me un collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista” (Ap 1,18).

Sarà forse solo così che potremmo simpaticamente e festosamente porre alla fine lo sguardo sul nostro volto, quello da prendere per mano e che forse è sì il compito più difficile, ma non impossibile, se anche il volto di Gesù gradirà sostare ogni tanto nella periferia della nostra vita.

Siamo grati alla Fiorenza De Bacco che ci ha accompagnato, con la bravura e la finezza del suo essere ceramista, nei sei incontri quaresimali.

Ha dipinto il volto tra i rami di un albero, simbolo della vita, con la pelle al profumo di fiori e al sapore di miele. Le radici affondano nel colore e da esso traggono nutrimento. Le orme di carne e non di gesso restano indelebili a firmare il cammino che procede verso l’alba, libera da passioni tristi finché quei rami continueranno a tendersi verso l’alto.

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Il CAMMINATORE-TESTIMONE che ha motivato i piedi scelti e chiesti "in prestito", per camminare e vivere la Quaresima 2015 ed oltre è I.S., minore straniero non accompagnato.

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5 inviati sono intervenuti su quello che durante l'evolversi dell'incontro ha suscitato il loro interesse.

Anna Favaro- Il sapore della serata

Giovanni Dal Mas- Il volto della serata

Alessandro Gabas- Il profumo della serata

Gelila Herods- Il colore della serata

Emanuele Gaz- L'aggettivo della serata

Gloria Zoggia- Il verbo della serata

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- Lunedì 23 marzo 2015 - IL VERBO, quello di carne e non di gesso.

IL VERBO, QUELLO DI CARNE E NON DI GESSO di Aldo Bertelle

VERIFICA

So esserci stata una riunione di verifica sul cammino: “A piedi in prestito verso l’alba”. Vi hanno partecipato il concia brocche di Nazareth, il profumiere di Betania, il cuoco di Tiberiade, lo scalatore del precipizio nazaretano, il pittore di Gerusalemme.

Ognuno aveva a portata di mano la propria giara quaresimale, quella del profumo, quella del sapore, quella dell’aggettivo, quella del colore.

Come uditori erano stati convocati il falegname e la sarta di Nazareth, la prodiga di Betania, gli evangelisti Marco, Luca, Giovanni, alcuni pescatori galilei.

L’o.d.g. prevedeva: “Orme di futuro libere da passioni tristi”.

Unica bevanda ammessa dal convocato maestro di sala, quello di Cana di Galilea, mosto fresco.

LA GIARA DEL VERBO

Mi sono complicato molto la vita per pensare a questa quaresima. Il fatto di non partire da un passo del Vangelo per poi riflettere e scrivere, bensì da un tema come questa sera, il verbo, e poi cercare, mettere ordine, pensare e scrivere è risultato faticoso, tuttavia meraviglioso.

E’ esame sulla conoscenza del Nuovo Testamento, di noi tutti co-dottori come il Ladro di protesi, maestri sprovvisti di cattedra, medici senza medicine, educatori nel tempo.

Avevo pensato al quinto nome ed avevo individuato Gesù l’insegnante, meglio il maestro, l’inventore della scuola esistenziale di Nazareth.

Ho sognato recentemente Paolo VI, forse il più grande papa del secolo scorso ed anche dei nostri tempi. Ho ricordato che diceva spesso con quella sua voce timida, grave, breve e solenne, che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri.” Ho riflettuto a lungo e mi pare di poter dire che la testimonianza non è semplice coerenza, bensì piuttosto rimando al “mistero di Dio”.

Il testimone non indica se stesso, bensì attesta l’evento che ha visto, financo vissuto.

Proseguiva il Papa bresciano che “essere testimone dell’amore di Dio che opera nella fragilità umana, non vuol dire cancellare l’uomo, ma proporgli percorsi di libertà”. Le generazioni nuove hanno sete di sincerità, di verità, di autenticità. Lasciate che dica a voi ragazzi e giovani, che sono contento, sorpreso e preoccupato per la vostra continua ed affollata presenza a questi lunedì di quaresima in Comunità.

Vorrei chiamarvi tutti per nome e cognome, avvertitelo fatto con il mio povero sguardo, capace solo di stimarvi e volervi bene, voi giovani e tutti voi giovani in ogni età, capaci di percorrere tutti gli angoli della Terra per trovare discepoli del Vangelo, in cammino a piedi in prestito, senza bastone e bisaccia, trasparenti a Gesù e agli uomini, chiamati a rimanere giovani della giovinezza di Dio in Gesù di Nazareth.

Voi li cercate i testimoni, voi avete fame di testimoni diretti, voi cercate torsoli di pane dell’Assoluto. Voi siete capaci di prendere qualche tenda per sostare al passaggio di qualche santo domestico e feriale. Cominciate allora la cerca nel cortile della vostra vita, qualche volta giratevi a contemplare storie di testimonianza molto vicine a voi.

Bevete alla giara di acque trasformate in vino dal silenzio, dal dolore, dalla speranza, dalla fede, dalla costanza, dal bello, dal vero.

VERBO DI CARNE

Ho cliccato in internet quale sia il verbo più chiesto: è il verbo essere, in 881.717 volte mi ha risposto il sistema informativo.

Noi ve abbiamo indicato per i passati lunedì dei nostri 5 anni 75.

e l’impegno settimanale era di abitarlo il verbo, di viverlo nel senso il verbo, di proclamarlo, di seminarlo il verbo.

Li ho riletti tutti e da solo, anzi no, la nostra cagna Stella, anche se stanca c’era a farmi compagnia, al frutteto biblico e mi hanno fatto bene.

Ho scelto il mio, dopo tanti anni mi sono ritrovato sul verbo capire.

Quando recitiamo e Dio voglia, quando viviamo il Credo, troviamo che il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

Ho consultato il dizionario Devoto che mi ha aiutato a capire che verbo significa parola, una parola che crea, che realizza un progetto.

Tutto accadde a Betlemme, annunciando il tutto ai pastori, semplicemente perché svegli di notte. Per giaciglio il luogo del nutrimento degli animali. Per caldo il fiato del bue, animale da fatica, e quello dell’asino, l’animale da trasporto della futura regalità, l’asino mite e presente tre volte nella vita dell’Uomo fattosi carne, alla sua nascita, alla sua fuga in Egitto, al suo ingresso in Gerusalemme.

Un progetto di carne allora, non di parola, un verbo carne questa sera.

Dio è credibile perché ha provato la fatica di essere carne, ha accarezzato la nostra carne, dalla quale noi spesso fuggiamo, questa meravigliosa carne che “è come l’erba del campo, passi al mattino è fiorita, passi la sera ed è già seccata”.

VERBO REGGENTE

Quante urla e penne di colore rosso sulla mia vita di alunno, quanti “no” da insegnanti autorevoli, molte volte quelli del verbo di gesso alla lavagna, in classi paesane povere e numerose.

Gesù, nella mia vita io ho avuto in sorte da te tanti maestri e tantissimi testimoni. Non ho mai capito il perché, e continui ostinato a verbalizzare così con me.

Tanti anni fa agli incontri del lunedì, era l’anno 1978, invitai una donna “intera”, una professoressa che a scuola voleva “teste e non testi”.

Si chiamava Wanda Dal Pian, per noi studenti del biennio delle superiori “la vecia”.

Accettò con grande fatica e paura di venire in Comunità a parlare ai 50 ragazzi che qui vivevano. Il tema era il Verbo, quello che anche allora si fece carne.

Chiamò un ragazzo e fece leggere una frase che aveva preparato alla quale aveva tolto il verbo reggente. Impossibile leggere, andare avanti e capire.

Tutti ci guardammo meravigliati.

Salì in cattedra la professoressa, la cattedra al livello del pavimento e disse: “Ragazzi chi non mette il Verbo che si fa carne nel libro della propria vita, non riuscirà mai a leggerla, capirla e viverla.

Mi sono ricordato che la rubrica sui verbi di TeleTU’ dei nostri incontri del lunedì per 5 anni ci ha chiesto: “E tu che verbo sei?”

UN CAPITELLO IMBANDITO

Sabato scorso ho chiesto all’inserviente di sala Luca di accompagnarmi verso la località Canalet di Pedavena.

Volevo tornare davanti ad un capitello, non certo come quello fatale a Don Abbondio nei Promessi Sposi.

Mi avevano raccontato che ogni tanto lì accadeva una cosa strana. Una signora, non di rado con il viso tumefatto dalle violenze subite dal figlio alcolista, fermava la bicicletta per una preghiera alla “Madona” e incontrava un uomo buono, mite, sereno che, togliendosi il cappello, accostava la bicicletta al muro, estraeva qualche caramella da una capiente borsa nera legata alla stessa, posandola davanti al crocefisso.

“Luca” ho detto, “raccogliamo un sasso di questo capitello e portiamolo all’Emmaus per la costruzione del forno al frutteto biblico”.

L’inserviente rimase quasi meravigliato quando gli raccontai cosa accadeva lì tanti anni fa e rimanemmo senza parole, ancora una volta come Don Abbondio che di latino se ne intendeva eccome, quando abbiamo trovato una caramella e vicino la carta che la avvolgeva.

Di sicuro questa è una pagina di alta teologia popolare, scritta da gente analfabeta di studio, ma sapiente di devozione e che forse neanche un regista di film avrebbe pensato.

Ecco allora un verbo, anche di carne se volete, stavolta un verbo condito di gentilezza, riconoscenza e di dolce sapore.

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Il CAMMINATORE-TESTIMONE che ha motivato i piedi scelti e chiesti "in prestito", per camminare e vivere la Quaresima 2015 ed oltre è Suor Nieves Rodriguez, responsabile della Comunità KAIROS di Bergamo.

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5 inviati sono intervenuti su quello che durante l'evolversi dell'incontro ha suscitato il loro interesse.

Tommaso Favaro- Il sapore della serata

Gualtiero Bettega- L'aggettivo della serata

Lara Gazzola- Il colore della serata

Ludovica d'Incà- Il profumo della serata

Diego Venturin- Il volto della serata

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- Lunedì 16 marzo 2015 - IL COLORE, quello nato a vista e mantenuto in rotta.

IL COLORE, QUELLO NATO A VISTA E MANTENUTO IN ROTTA di Aldo Bertelle

LA GIARA DEL COLORE

Il vangelo di questa sera presenta la storia di un mantello intero e colorato di rosso e ci invita ad aprire gli occhi. Potrebbe essere anche il racconto di un vestito, di un capo di abbigliamento che indossiamo, magari distrattamente o in senso mirato per un lutto, una cerimonia nuziale, una festa, o forse il racconto del colore più bello a nostra disposizione, quello indossato 24 ore al giorno: il colore della nostra pelle, oggi segnata e imbrattata da colori che non le appartengono e che comunicano altro di noi, o meglio trasmettono il gusto di mode e di altri.

Mettiamoci in tranquillità, lasciamoci cullare dalla Parola di Dio, anche quando si fa impegnativa, faticosa, a volte incomprensibile da accogliere.

Quella di questa sera non è la storia di un’orma di futuro libera da passioni tristi. Chi crede al colore rosso sa che è il colore della passione, della regalità, del sangue, dei martiri, dei porporati chiamati a dare la vita, è il colore liturgico che a me da ragazzino piaceva di più: quello della Pentecoste. Il rosso è il marchio umano dei vivaci, attivi, estroversi, caldi, leader, sembra anche dei lavoratori instancabili e di chi soffre d’insonnia. Il colore segnala agli analisti chi siamo, cosa proviamo, di cosa soffriamo. Sono le famose macchie del test di Rorschach.

DISEGNATI DAL COLORE

E’ un caso, credetemi, ma anche la stola che indosserà questa sera il diacono e amico Danilo Dal Bosco per benedire la Comunità è di colore rosso, arriva dal rosso di Betlemme, da tanto sangue versato su quelle terre.

Il tessuto è di color porpora, il colore nato dal murice, un mollusco del Mediterraneo.

Io amo vedervi colorati di verità questa sera, lievemente segnati da qualche pigmento deposto da una foglia accarezzata che ha lasciato una parte di colore su di noi. Accarezzo il vostro volto, reso magari più vero dal colore dell’acqua di qualche lacrima sgorgata dal cuore; mi inchino su qualche sfumatura di nero rimasta sulle mani dei lavoratori delle fabbriche e delle miniere; annuso il profumo di qualche condimento che mi porta al colore di un sugo per la pasta preparato con amore vero dalle mamme, nonne, cuoche che nutrono ogni giorno di vita e di senso i figli e i mariti, e magari rimasto sull’abito stasera e non smacchiato; mi inchino e sono illuminato dal colore della speranza della vostra giovinezza; mi inchino e chiedo il permesso di sedermi accanto agli occhi del prof. Carmelo Ghedini, che questa sera ha preso in prestito il colore degli occhi della Luce, la Parola di Dio, e l’ha fatta assaporare, forse come non mai, a noi colmi di troppo colore e troppa luce.

UN MANTELLO ITINERANTE

Io ero garzone di bottega, timido, muto, troppo pensieroso per i miei 8 anni, dicevano quelli di Facen che non conoscevano il privilegio da me goduto di essere stato per qualche tempo in quella falegnameria nazaretana.

Rimasi sorpreso a un vespro galileo quando Maria, la mamma previdente, venne in bottega a chiedere l’abbozzo di un disegno per tessere un mantello per il figlio Gesù, chiedendolo di misura più grande della sua, come fanno le mamme, che al mercato comperano per i loro figli abiti quasi grandi, cosicché li possano indossare per tanto tempo e con altri chili in più.

Giuseppe disegnò, Maria stette al telaio per le serate lunghe, dopo aver dato il bacio della buona notte a questo figlio impegnativo e già pensato per tutti, oltre le mura domestiche e private.

Gli si spaccò il cuore una sera, quando figlio e padre chiesero le ragioni di questo indumento, che pure loro si divertivano a far prendere corpo.

Finito, fu posto nella panca di casa.

I teologi, i biblisti, gli studiosi devono decidersi a scrivere, anche se postumo, un vangelo sulla storia delle donne che seguirono Gesù. Sono pagine straordinarie scritte con il colore del bene, del senso, della finezza, del genio, della fedeltà, del coraggio, del dolore, della gioia femminile.

MARCO, IL COLORE DELLA PROMESSA

Un giorno Maria incontrò un giovinetto di nome Marco, cugino di Barnaba, tenuto molto in considerazione dal capo degli apostoli Pietro. Gli chiese la cortesia di tenere con sè il mantello tessuto a Nazareth e di porlo a Gesù in caso di bisogno.

Finì sulle spalle del Maestro nella trionfale entrata da Re a Gerusalemme e Marco ne fu orgoglioso. Nel trambusto accaduto quel giorno della salita in città, il mantello fu perso.

Marco però c’era, fedele scritturale di tutto il fine vita di Gesù. Vide quel che vide e che anche Giovanni narra questa sera, prodigo di racconti, particolari, ragionamenti, sofferenze, incredulità.

Come d’incanto quel mantello rosso ricomparve nelle mani di alcune guardie e fu gettato per scherno, non per gloria o riparo, ancora su quelle spalle che sapevano bene cosa erano chiamate a portare di lì a poco.

Su quel legno era già incisa una mia protesi ad aggravare il peso dei peccati, limiti, stanchezze, maschere, alibi tornaconti degli uomini del mondo.

E Marco giovanetto c’era ancora, fedele, perché l’importante è esserci e rimanere a fianco di chi soffre; è al Calvario, vede la giocata ai dadi per dare in sorte un simile mantello.

Marco, io non so a chi toccò quel mantello. Sono certo però che anche tu piangesti amaramente in quei giorni e alcune delle tue lacrime finirono su quel mantello, che tu serbavi con tenerezza e impegno.

Il risultato fu che la tua acqua amara scolorì il mantello e il color rosso finì col segnare il tuo braccio destro.

Il Dna, direbbero oggi, è ancora lì. Ti ha aiutato a trovare Lassù il mantello e il fortunato nuovo possessore. Credo tu gli abbia parlato e so che è divenuto persona a te cara, cara anche a Gesù di Nazareth.

Marco, ho letto recentemente che sei patrono dei pittori su vetro. Qui si lavora e si fonde a 1000 gradi il vetro. In Casa Emmaus si tessono ogni giorno mantelli interi di gratuità, carità, amore.

Qui si ringrazia Gesù di Nazareth, Maria e Giuseppe che ci hanno insegnato a tessere mantelli interi e non tagliati in pezzi di carità, per donare se stessi completamente, nel bene e nei bisogni dei figli, tutti i fratelli e inquilini del mondo.

Sì, il colore del mantello, quello nato a vista e mantenuto in rotta.

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Il CAMMINATORE-TESTIMONE che ha motivato i piedi scelti e chiesti "in prestito", per camminare e vivere la Quaresima 2015 ed oltre è Mario Modolo, Direttore dei Servizi Sociali dell'ULSS2 di Feltre.

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5 inviati sono intervenuti su quello che durante l'evolversi dell'incontro ha suscitato il loro interesse.

Aurora Mortagna- Il volto della serata

Mattia De Paoli- Il verbo della serata

Anna Dal Sasso- L'aggettivo della serata

Alberto Gottardi- Il sapore della serata

Daniele Sbardella- Il profumo della serata

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- Lunedì 9 marzo 2015 - L'AGGETTIVO, quello che orienta il senso delle orme.

Interventi della serata:

L'AGGETTIVO, QUELLO CHE ORIENTA IL SENSO DELLE ORME di Aldo Bertelle

Non potevo che scegliere Luca, medico e artista, per chiedere aiuto nello scavare un’orma per questo terzo incontro quaresimale.

Ci attende la terza giara, quella dell’aggettivo. Il concia brocche mi ricorda che debbo ancora versare il profumo nella prima; il cuoco nazaretano, con la finezza che gli è propria, attende il mio sapore nella seconda. La bisaccia appesa alla porta di questa città attende il nostro sasso, la pietra a noi vicina. Ringrazio il Signor Amministratore Biblico Dino Dalfreddo che, in una delle sue cortesissime e impegnative telefonate, mi ha comunicato di essere andato a San Gregorio nelle Alpi per provvedere all’orma della sua storia familiare nel ricordo del figlio Cesare. Così fanno i dirigenti, i maestri, i genitori, gli animatori, i preti, gli insegnanti, quelli che credono al loro compito: investono nell’esempio.

Se non provvederemo a porre in quella bisaccia noi stessi, attraverso un simbolo feriale o solenne a noi vicino, vorrà dire che siamo ancora fermi al cortile delle passioni tristi, impastate di pigrizia, seduti alla panchina del “non tocca a me”.

Ricordiamoci che siamo convocati a re-imparare ad ubriacarci di mosto, sia che siamo cristiani sia che non lo siamo.

L’AGGETTIVO, QUELLO DI SENSO

Credo non ci sia amarezza più grande per una persona, per un figlio, per un nonno, per un genitore, per un volontario, di essere respinto dai suoi, di non essere da loro riconosciuto, di essere preso in giro o messo in dubbio dai suoi, di essere allontanato dai suoi.

Gesù di Nazareth passa per questa valle oscura della vita, anzi è costretto a scappare dalla sua città, se vuole salva la vita.

Noi a fine settembre 2014 ci siamo stati sul Monte del Precipizio, quel colle pieno di sassi a Nazareth, abbiamo anche pregato lì, su invito del Vescovo di Nazareth Giacinto Marcuzzo.

Gli aggettivi presenti in Luca questa sera sono questi: occhi fissi, gente stupita, cose meravigliose.

Gesù è il figlio di un falegname, fa anche il concia brocche, non frequenta la scuola alta rabbinica. Cosa vuoi allora che venga di buono da uno di Nazareth?

Tra la predicazione di Isaia e quella di Gesù c’è uno stacco netto: l’oggi, è qui che nasce il diaframma della storia. Ciò che in Isaia era un annuncio, magari in me l’eterna promessa, in Gesù diventa l’oggi della salvezza, in me può vivere il fatto compiuto, in ognuno di noi la firma della propria vita.

E purtroppo Gesù che era uno dotato del terzo occhio, quello che vede in me ciò che io sono incapace di vedere. Dirà: “Nessun profeta è bene accetto in patria”. Quante storie, meglio quante orme di ragazzi, giovani, adulti non capite ad Arsiè, Longarone, Locri, Grosseto, Barbiana, Gerusalemme, Boion di Padova, Fossoli, Bozzolo, sono state seppellite e cancellate troppo in fretta, perché vere, coraggiose, rispettose, profetiche, scomode, profumate, gratuite, intere.

Nella quaresima della Comunità “A piedi in prestito verso l’alba” siamo chiamati a porre lo sguardo vicino, alto e lontano, perché il mondo è pieno di bontà, non di egoismo, ma di gioia, non di tristezza, quanto piuttosto di passione accesa, non di pochezze private, ma di ragazzi e uomini capaci di amare anche a fari spenti.

QUATTRO AGGETTIVI

Ho consultato in internet quanti aggettivi ci siano nei dizionari italiani. Un dato me ne ha offerti 302. Allora mi son detto: rileggi tutti e quattro i vangeli e conta gli aggettivi presenti. Non c’è l’ho fatta. Anzi no, li ho letti in diagonale.

Ci sono qui 15 giovani del Vicariato di Arsiè-Valstagna, chiederei a 4 di loro di leggere un vangelo a testa e riportare lunedì prossimo i dati.

Tornate in 4 e fatevi accompagnare da 4 persone distanti da Gesù di Nazareth, da 4 giovani sulla soglia del Monte del Precipizio nazaretano e che sono là ad attendere noi, uomini del Duemila, capaci di ascoltare il loro sguardo, accogliere sul palmo della mano qualche lacrima, amara certo, ma pronta per un eventuale “Ho sete”. Ragazzi, imparate a sostare di fronte a qualche fatica e perplessità, e scegliete di dire alla fine solo come Maria: “Eccomi”.

Ho scelto 4 aggettivi, uno per ogni evangelista.

Bello in Matteo, quando Gesù richiama i suoi dicendo che “neanche Salomone con tutta la sua grandezza ha mai avuto un vestito così bello”, ed esorta alla bellezza dei fiori. Il verbo qui sarà ancora il tessere la bellezza, l’uso del telaio di una nuova economia lenta, quel tessere la tenda del domani, il proprio e quello del mondo.

Mi ha segnato l’affermazione di lunedì scorso del diacono Vittorio Dalla Cort di Santa Giustina che, dopo aver indossato la stola, il giogo, quello di colore viola fatto ai ferri dalla Maria Rosa, per benedire la Comunità in preghiera, nella seconda agape al piano di sopra chiede a Maria Rosa di fargli una stola così anche per lui. Mi sono avvicinato a Vittorio e gli ho chiesto il perché. Risposta disarmante: “Parchè la è bela”, perché è bella.

In Marco l’aggettivo povera, riferito alla vedova che mise nel canestro esterno, oltre i 12 presenti nella sala del Tesoro del Tempio a Gerusalemme, due piccole monete di rame, guadagnandosi da Gesù quel tremendo: “Vi assicuro che questa povera vedova ha dato un’offerta più grande di quella di tutti gli altri. Ha dato tutto”.

Ieri commentavo così con quaranta ragazzi della diocesi di Pordenone, in visita qui tutto il giorno per prepararsi alla Cresima: “Vedete, se c’è bisogno di ottenere da voi e di voi qualche cosa, non vi si deve chiedere poco, perché si otterrà niente. Neanche molto, perché si otterrà ancora niente. Bisogna chiedervi tutto, per ottenere da voi il tutto, quel bello, sapiente, caritatevole, umano e spirituale che abita in voi.

In Luca mi sono fermato sull’aggettivo abbandonato, relativo alle reti abbandonate dai due pescatori in riva al mare di Galilea, i fili più difficili, più autobiografici, quelli da recidere, per seguire Gesù.

In Giovanni l’aggettivo buono, con il quale il maestro di sala giudica il vino trasformato dalle acque delle sei giare vuote alla festa nuziale in Cana. “Tu hai tenuto il vino buono fino ad ora”. Un aggettivo e una speranza senza misura per il banchetto che ci sarà riservato Lassù, all’alba della vita eterna, dove siamo vegliati con lo sguardo lontano libero da passioni tristi, attesi per il vestito più bello, quello riservato al figliol prodigo, e amati per sempre e da sempre nelle differenze e nei raddoppi, quelli chiesti dalla parabola dei talenti.

ORME INVISIBILI

Mercoledì è il giorno che in buona parte dedico a predisporre gli appunti per la riflessione del lunedì. Vi assicuro che non sapevo da dove cominciare per il tema di questa sera.

La recita delle lodi comunitarie alle 7,30 del mattino e la lettura del salmo 77 mi hanno offerto però la bussola. Eccola: “Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili”. Incredibile e meraviglioso mi son detto, grazie Gesù di Nazareth.

Allora ho ricordato che il 18 settembre del 1998, nel 50° anno di fondazione della Comunità di Villa San Francesco del CIF di Venezia, nella chiesa arcipretale di Pedavena avevo salutato il Card. Patriarca Marco Cè, alla presenza di 40 sacerdoti concelebranti e tantissimi ragazzi, giovani e collaboratori, operatori e volontari, con il testo di un anonimo brasiliano.

Ho ritrovato gli appunti, dicevano così:

Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E ogni giorno trascorso, apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore.

Ma in alcuni tratti, ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: “Signore, io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo nei momenti difficili?” E lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti abbandonerò mai: i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia, sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”.

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Il CAMMINATORE-TESTIMONE che ha motivato i piedi scelti e chiesti "in prestito", per camminare e vivere la Quaresima 2015 ed oltre è Francesco, Presidente di Nomadelfia.

Don Zeno nel descrivere se stesso ha usato in più occasioni l’immagine del mulo che viaggia sui bordi dei precipizi ed è difficile da guidare. Questa è l’immagine che facilmente si può adattare anche a noi, che siamo difficile da condurre. Le orme che ho preso in prestito prima di tutto sono quelle di mio padre. Mio padre è una persona semplice, un uomo che è stato sempre in piedi, non ha accettato compromessi, non ha cercato mai di migliorare il posto di lavoro pur di restare se stesso. Questa dignità che mi ha trasmesso a casa, nella semplicità della vita in famiglia, è una cosa che mi è rimasta per tutta la vita. Non è stato facile mandare avanti una famiglia numerosa, lui operaio con sette figli. Assieme a mia madre ha fatto tanti sacrifici, ma non ci ha mai fatto pesare niente. Quando a undici anni circa io ho deciso di andare in seminario a Padova, lui mi ha lasciato libero, e quest’idea di lasciare un ragazzino libero di decidere è una delle immagini che mi sono rimaste più impresse nella vita. In quel momento lì ho deciso io, non ha deciso né mio padre, né mia madre. Poi la mia vita ha preso strade diverse, ma in quel momento ho deciso io. Non dobbiamo pensare che un ragazzo decida a 18 anni; può decidere della sua vita anche molto prima. Nella mia esperienza ho incontrato anche altre persone che mi hanno segnato e da cui ho imparato il coraggio. Per tutti gli anni della mia giovinezza, don Milani è stato un punto di riferimento, soprattutto con il suo “l’obbedienza non è più una virtù” e la sua passione per la scuola, quel “mi sta a cuore”. Un’idea di don Zeno Saltini, legata alla Quaresima, è che non esiste la circonvallazione del Calvario, se vogliamo seguire Cristo la nostra strada deve passare per il Calvario. Seguire Gesù sconvolge le nostre vite ma gli dà anche sapore.

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6 inviati sono intervenuti su quello che durante l'evolversi dell'incontro ha suscitato il loro interesse.

Giorgia Piolo - Il verbo della serata

Ho individuato tre verbi per questa serata. Il primo è affidare, nel senso di affidare la propria vita al Signore. Il secondo è faticare, perchè nella vita bisogna faticare per ricevere delle soddisfazioni. E poi guardare, nel senso di guardare avanti, oltre noi stessi.

Fabio Mazzon - Il sapore della serata

Ho scelto il sapore dell'acqua. L'acqua è insapore ed è l'elemento base che usiamo nella cucina. Ci vuole poco per conferirle un buon sapore, pensiamo ad esempio al caffè o al the. È anche incolore, però quando piove con il sole esce l'arcobaleno e non vediamo più che l'acqua è incolore, ma diventa di tutti i colori. Se noi avremo gli occhi fissi su questo arcobaleno, stupiti, vedremo delle cose meravigliose. L'acqua viene raffigurata benissimo in un fiume: scorre sempre, non si ferma mai e, quando viene sbarrata, ci sta un po' ad arrivare al livello dell'ostacolo che si trova davanti ma poi la sorpassa.

Marco De Bastiani - Il colore della serata

Ho scelto il rosso, un colore deciso che apparentemente potrebbe sembrare non consono al periodo quaresimale. Credo però che rispecchi uno dei valori fondamentali della religione cristiana: l'amore, l'amore che Cristo vuole regalarci, l'amore che dobbiamo avere verso il prossimo e che riassume tutto il messaggio contenuto nei vangeli, e anche l'amore che dobbiamo verso noi stessi, verso la nostra vita che è il dono più prezioso che ci viene affidato.

Francesco Giazzon - Il volto della serata

Ho pensato a due volti: il volto del padre, che lascia libertà di decisione al figlio, e il volto del figlio, che è lasciato nelle mani del Signore ma anche nelle mani della propria coscienza.

Chiara Galli - L'aggettivo della serata

L'aggettivo che ho scelto è soffusa, chiaramente riferito a una luce: perchè sulla strada di qualcun altro accendi una lanterna e non un faro, non una luce accecante che, la strada, non fa altro che nasconderla. È ad una luce soffusa che amano i giovani, "a fari spenti", a un lume che fa intravvedere i contorni della realtà lasciando a noi il compito di riempirli di ricordi lontani. Le orme che ci lascia Gesù sono invisibili, e troppa luce non permetterebbe ai nostri occhi di immaginare le ombre. Soffusa è la semplicità di ogni persona che lascia la sua orma in questa Comunità e nel mondo.

Julieta Bertuzzi - Il profumo della serata

Il profumo che ho percepito io sa di indefinito, di qualcosa che vorresti mangiare o toccare ma che non riesci mai a raggiungere. Rispecchia l'incertezza e la precarietà del futuro dei giovani.

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- Lunedì 2 marzo 2015 - IL SAPORE, quello nato dal forno della vita.

Interventi della serata:

IL SAPORE, QUELLO GENERATO DAL FORNO DELLA VITA di Aldo Bertelle

Quello del cucinare è l’ultimo atto di Gesù raccontato dall’apostolo prediletto, l’evangelista Giovanni.

Sono sicuro che l’emozione prenderà molti di noi. A fine settembre 2014 eravamo in barca sul lago di Tiberiade e abbiamo sostato a lungo sulla sua riva. La benedizione di questa sera sarà con l’acqua di quel lago meraviglioso e misterioso.

Gesù di Nazareth sapeva cucinare (il pesce arrostito), era a conoscenza di ricette segrete (il lievito della pasta), aveva il tatto sulla quantità di sale per insaporire, conosceva i pesci buoni e di scarto (parabola sulla pesca), sapeva perfettamente che per ottenere un buon pane occorreva lievito conveniente a tre misure di farina, ma in particolare conosceva l’arte del coltivare la terra per la produzione dei frutti.

Allora, se lunedì scorso mi avete passato il Gesù concia brocche, spero che stasera mi lascerete raccontare di Gesù cuoco.

GESU’ CUOCO

Entra in scena uno scomparso, dato per morto, che rovescia le parti. Gli amici affranti sono andati a pescare e pescano niente; lui li aspetta, cucina e prepara la tavola.

Cucinare esprime l’attenzione ai legami, sia quelli con le cose, come quelli con le persone. Significa avere familiarità con gli attrezzi, avere fiducia nella qualità degli ingredienti, certezza nella fattibilità del piatto e nell’apprezzamento delle persone. Allora cucinare è un atto umanissimo, financo sublime. Prestiamo attenzione che quanto letto questa sera è narrato da Giovanni alle fine del quarto Vangelo, con l’obiettivo di focalizzare il non riconoscere, l’attendere, il cucinare, il mangiare.

Chissà come Gesù avrà cucinato il pesce pensando a Pietro e agli altri, alle loro esigenze e preferenze: un po’ crudo per non perdere il sapore dell’acqua di lago? Arrostito a puntino così da arricchirne l’aroma con il profumo resinoso della legna arsa? Non sappiamo. Una cosa io immagino certa: se ha cucinato, l’ha fatto con tutto l’amore competente del quale era colmo. Ha costruito un forno in riva al lago, quello capace di generare il SAPORE, nato dal forno della vita, e la vita è lui.

Tante notti insonni ha vissuto per vegliare sui suoi e sul mondo. Questo lo poteva e doveva fare perché era pastore intero e la parola pastore significa “colui che dà il pasto”, “colui che nutre”. Il custode delle pecore, assieme alla cagna Stella, non solo le guida, ma assicura “pascoli erbosi” e “acque tranquille”.

Se il Buon Pastore ha cucinato, l’azione di nutrire – la pastorale – dovrebbe far vivere in festa anche le sfumature tipiche dell’arte culinaria. Insomma, parafrasando le parole del Papa e senza offendere nessuno, direi che vescovi, preti, diaconi e coloro che nella Chiesa svolgono un compito pastorale non dovrebbero essere soltanto dei funzionari dei Sacramenti o a volte sbiaditi distributori di buon cibo, ma cuochi misteriosi, saporosi, affascinanti, anche se affaticati e amareggiati.

Vi faccio una proposta: costruiamo in questa Quaresima “A piedi in prestito verso l’alba” un forno al Museo dei Sogni e una piccola cantina che raccolga soltanto e sempre mosto, quel distintivo di appartenenza cristiana. Ognuno porti una pietra o un sasso legato alla propria storia o alla storia del mondo. Costruiamo così il forno irrobustito da una pietra dell’Everest, utilizzando la sabbia libica di Gianluca Salviato come malta per tenere in piedi i sassi, impastata con l’acqua e la sabbia del lago di Tiberiade. Celso e Alberto ci aspettano lunedì con la bisaccia pronta. Andrea faccia pure le pratiche comunali, noi intanto cominciamo a pensare alla prima pietra, quella angolare, magari quella del Risorto. Questo sia per sempre il forno dei nostri sapori, il riscaldo quotidiano dei nostri valori, quelli più alti e plurali.

Trovate le ragioni del sì e abbattete quelle della pigrizia, quelle del non tocca a me, o che tocchi sempre al concia brocche, al Ladro di protesi, al cuoco di Nazareth, agli altri.

QUATTRO ORME

Proviamo a mettere i piedi sulle orme di Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi, sui due viandanti smarriti di Emmaus, su quelle di don Tonino Bello e infine su quelle a noi più domestiche: Yodit, Fiorenza, Alessandra, Maria Rosa.

Nel cap. XII dei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni narra l’assalto al forno delle grucce. Renzo assiste allo scempio e riflette: “Questa poi non è una bella cosa - disse Renzo tra sé: - se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne’ pozzi?”

A Emmaus, nella più straordinaria pagina di vita della pedagogia di Gesù, i due discepoli riconoscono Gesù allo spezzare del pane e, quando il Maestro risorto se ne va, non possono che implorarlo così, con le parole e la musica di un bellissimo canto: “Rimani con noi perché si fa sera, con te mangeremo insieme la cena, rimani con noi, rimani con noi”.

Don Tonino Bello, del quale mi sono sempre chiesto se sia stato prodotto vescovo dall’amnesia o della fantasia dello Spirito Santo, invitava a riporre nella bisaccia del cercatore un pezzo del pane avanzato dopo l’intervento di Gesù per sfamare le folle.

Pensiamoci bene prima di accogliere il suo invito dal sapore agro, perché mettere sul desco familiare un torsolo di quel pane avanzato significa portarsi incorporata la forza nutriente dell’impegno concreto di fronte alle grandi sfide con cui anche oggi la storia interpella le religioni: la fame, la guerra, il degrado ambientale, la povertà, la sperequazione tra nord e sud del mondo.

Forse dobbiamo ritenerci ogni giorno profeti feriali, capaci di voce alta e vita profetica compiuta, affinché il tintinnare del denaro, dell’egoismo, del pressapochismo non copra il gemito dei poveri della terra, magari anche quelli vicini a noi solo di qualche passo.

LA MADONNA C’ERA

Sono convinto che in riva al lago di Tiberiade, anche se molto defilata, come lo sanno essere le madri vere, durante quel saporito pasto mattutino, Maria ci fosse.

Maria, la donna conviviale, quella del “non hanno più vino”, del “fate quello che vi dirà”. Chiediamogli di prepararci ogni giorno la mensa del nostro cuore, con una tovaglia, un fiore, un pane. E’ una preghiera che domanda di vivere l’invito di Gesù: “Fate questo in memoria di me”.

L’Eucarestia è memoria della Pasqua e noi, cristiani o non, dobbiamo avvertire che la vera Eucarestia si compie sulla mensa, anche quella terribile, del mondo. Papa Francesco continua a ricordarcelo, non sempre con tanta fortuna.

E qui indico, almeno a me, la quarta orma, quella delle nostre quattro cuoche, che ogni giorno e più volte al giorno, libere da passioni tristi, offrono contente il fiore della loro bravura, il sapore della competenza, la fantasia non ripetitiva del nuovo di ogni giorno.

IO SONO

Gesù non è mai stato un uomo bonario, scorrevole, a spanna.

Tutto questo mio poco dire si ferma e perde senso di fronte alla proclamazione tremenda di quel “Io sono”, fatta direttamente da lui. “Io sono la luce del mondo, la porta, la risurrezione, la via, la verità, la vite, il Re, il pane di vita che sazierà chi viene a me e non avrà più fame”.

Grazie, cuoco e fornaio degli uomini del mondo; grazie, Ladro ininterrotto di banalità umane; grazie, concia brocche di storie frantumate da noi, ma che tu finemente ricuci e rendi ancora intere e per di più eterne.

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Il CAMMINATORE-TESTIMONE che ha motivato i piedi scelti e chiesti "in prestito", per camminare e vivere la Quaresima 2015 ed oltre è Gianluca Salviato, tecnico italiano, rapito e sequestrato otto mesi in Libia.

Durante questi otto mesi mi sono dovuto confrontare con me stesso, con la vita che avevo passato prima, con la morte e con la paura. Quando ero lì dentro ho cominciato a pregare; prima ero religiosamente normale, per così dire, andavo in chiesa ogni tanto, le preghiere alla sera, pensavo di essere una buona persona perché non ho mai fatto del male a nessuno. Là ho cominciato a pregare perchè avevo paura. La mente, quando sei da solo in una stanza 4x4, solo con una lampadina, senza poter vedere l'esterno, senza poter parlare con nessuno, la mente cammina, parte, è velocissima e ti porta a rivedere tutti i frammenti della tua vita fin da quando eri bambino. Col passare dei mesi ho scoperto che il mio modo di pregare non era più per paura, perchè poi la paura era passata, si era messa di fianco, la tenevo lì. Mi rendeva sereno, stavo bene. Quando mi sentivo triste, o quando ero in ansia, pregavo e mi sentivo sereno, tranquillo, non avevo paura. E un giorno mi è venuto in mente una cosa che mi era capitata quando ero ragazzino, avevo 12 anni, è successo che hanno rapito e ucciso Aldo Moro. A me imperessionò molto, fu una cosa molto forte in quel periodo. Io mi ricordo la foto di quando l'hanno preso, qualle col giornale la Repubblica davanti. Ce l'avevo qui stampata in testa e pensavo alla serenità che aveva nel volto quell'uomo là, e mi chiedevo come faceva a essere sereno sapendo che poi sarebbe morto. Questo mi ha aiutato ad andare avanti, assieme alla preghiera, assieme alla speranza e alla fiducia negli altri. Io camminavo davvero in quella stanza là, io camminavo tre ore al giorno: un'ora alla mattina, un'ora a pranzo e un'ora alla sera. Per fare tutto il giro completo della stanza dovevo fare trenta passi, e quando camminavo pregavo e pensavo che dovevo restare sereno e dovevo tornare a casa vivo, perchè c'era qualcuno che mi aspettava a casa. Ho scoperto, e ne ho parlato col mio parroco quando sono tornato a casa, che prima pregavo per paura e poi perchè stavo bene, mi veniva la serenità. Lui mi ha risposto "guarda, secondo me tu hai sempre cercato Dio ma lo cercavi nella parte sbagliata, e invece ce l'avevi dentro". Poi quando mi hanno liberato e sono tornato a casa, ho scoperto che la mia vita è completamente cambiata, anzi mi è stata donata una nuova vita. Ho visto che i miei valori e le cose che per me erano importantissime, tipo guadagnare molto o avere quel che mi piaceva, ho scoperto ad esempio che i miei genitori sono diventati vecchi, che sono loro adesso ad avere bisogno di me, mentre prima credevo d'essere solo io ad avere bisogno di loro. Da questa esperienza ho ricavato solo una cosa importante: non ci si può lasciar andare, bisogna tenere duro, che c'è sempre il Signore affianco, io lo sentivo, sentivo che gli altri pregavano per me e questo mi teneva su. Quando sono tornato ho visto l'affetto di tante persone nei miei confronti. Prima credevo che tutte le persone fossero cattive ed ero diffidente, la società ci spinge un po' a questo, invece ho scoperto che alle persone bisogna dar fiducia e bisogna voler bene.

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5 inviati sono intervenuti su quello che durante l'evolversi dell'incontro ha suscitato il loro interesse.

Alessandro Marcomini - Il verbo della serata

Il verbo che ho scelto è "curare", che per me vuol dire comprendere e amare. Aver cura di qualcuno significa dedicare attenzione e conoscerlo. A me è stato detto che si ama veramente solo ciò che si conosce, e si conosce veramente solo ciò che si ama. La fede è ciò che ci permette di avere fiducia e di conoscere ciò che amiamo.

Davide Baldo - Il profumo della serata

Il profumo per me è quello che esce dal forno quando iniziamo a far da mangiare, lo respiriamo, può essere buono o meno buono, ma sta a noi poi unirlo al sapore. Poi, il profumo della mimosa, perchè per me la donna è al primo posto nella vita.

Francesco Zago - Il colore della serata

Dare un colore a questa serata è molto impegnativo, ma sentendo le testimonianze, quella di Gianluca Salviato che mi ha molto toccato, sentendo anche la realtà della mensa per i poveri di suor Lia a Padova, di come vive lei la sua quotidianità e del sapore che ha per lei la Quaresima, che è diventato quello della quotidianità, il colore che ho scelto è il verde, il colore della speranza. Per affrontare bene la nostra vita e per dare una mano agli altri bisogna avere fede, tanta fede, bisogna crederci e bisogna avere speranza.

Tommaso Gasparini - L' aggettivo della serata

Per me l'aggettivo per questa serata è rivelatrice. Il sapore si rivela solo se apriamo il forno, come abbiamo visto nel disegno realizzato dalla reporter Giorgia. Noi siamo come quel forno, e il nostro sapore si potrà rivelare solo se ci apriamo agli altri e alle cose nuove. Solo sperando di andare avanti potranno rivelarsi i progetti di Dio, che nessuno può sapere ma solo andando fino in fondo può scoprire, può rivelare.

Marika Bianchi - Il volto della serata

Il volto che ho cercato di tracciare questa sera ha i lineamenti segnati dal tempo, nelle cui rughe si leggono la fatica e la perseveranza, e le lacrime che scendono sono i ricordi passati. È un volto libero, sereno, ha assaporato il dolore ma ha pregato fino alla fine e non si è mai arreso. Guarda al futuro con speranza e ricordo, con una luce che, in fondo, è impossibile spegnere.

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- Lunedì 23 febbraio 2015 - IL PROFUMO, quello che segna e non confonde.

Interventi della serata:

IL PROFUMO, QUELLO CHE SEGNA E NON CONFONDE di Aldo Bertelle

Piedi in prestito verso l’alba, orme di futuro, libere da passioni tristi.

Avremo modo di capire e vivere con calma e sicurezza questa parete rocciosa del segmento della nostra vita, proposta dalla Comunità per questa Quaresima 2015.

Per 113 volte in 5 anni l’avvio della nostra agape delle ore 19 del lunedì è avvenuto con questa preghiera: “Vi erano là 6 giare vuote per la pulizia delle mani”, ricordandoci acqua, vino e Parola.

Ho pensato a lungo come si possa trasformare una passione triste in una passione gioiosa.

Proverò a suggerirlo in questi 40 giorni, confidando di non incrociare la vostra contrarietà e soprattutto che non andiate via da questa Casa di accoglienza intristiti.

Mi è nata l’idea di una Quaresima a 6 giare, quei panciuti recipienti di terracotta usati solitamente per conservare olio, vino e acqua.

6 orme, 6 incontri, 6 giare.

IL CONCIA BROCCHE

Le giare del profumo, del sapore, dell’aggettivo, del colore, del verbo, del volto sono qui in mezzo a noi e sostituiscono i 12 canestri del Tempio.

Ho ribussato al cuore senza porte di Gesù di Nazareth per questa splendida avventura umana e cristiana; ho chiesto aiuto con la stessa insistenza della vedova al Giudice, con parte della fede del centurione per il suo servo ammalato, rivolgendomi al più significativo concia brocche che la storia segnali, sì al nazaretano, che questa arte non poteva non averla imparata dal padre Giuseppe, che forse non era solo falegname.

Il concia brocche riparava tutti gli oggetti di terracotta. Era un ambulante che passava di casa in casa per le riparazioni, unendo i lembi rotti con punti di filo di ferro: mezzipunti ravvicinati per i ricchi, punti più distanziati e quindi meno precisi e costosi per i più poveri.

Confido nell’amabilità del Biblico Amministratore dei Lunedì, sperando nel suo sì a lasciarmi e lasciarci, se credete, conquistare da questo mestiere quasi scomparso.

Gesù, il concia brocche in contro tendenza dei Lunedì; Gesù, incapace di vedere a proprio piacimento e tornaconto; Gesù, l’Uomo delle non differenze verso il censo, lo status, il ruolo, le appartenenze del suo tempo, dei nostri tempi.

LA GIARA DEL PROFUMO

Nel mese di novembre dello scorso anno ho cominciato a non stare bene e mi sono recato da un medico mai visto prima, che così mi ha accolto: “Lei è Aldo Bertelle, vero? Verso fine agosto del 2008 a Lourdes l’ho ascoltata parlare agli ammalati, durante un pellegrinaggio, e ricordo che disse cose impegnative”.

Anch’io ricordo quel viaggio fatto di corsa in 3 giorni. Il terzo andai in basilica alle 5 del mattino e vidi tanta gente che andava per ricevere l’estrema unzione, che oggi si preferisce chiamare unzione degli infermi.

Chiesi ad un vescovo tedesco se donava anche a me quell’ultima carezza. Non mi rispose, spese soltanto un sorriso e mi unse. Il profumo di quell’olio io non lo dimenticherò mai più, e lo verserò da solo e idealmente lungo la settimana nella giara del profumo.

Ho riflettuto su quale passo del Nuovo Testamento legare il tema di questa sera e ho scelto Giovanni, pure Matteo, Marco e Luca raccontano.

GIARA STRARIPANTE

I fatti accadono a Betania, in casa di Simone il lebbroso. E’ l’ora di cena, si vive la festa della risurrezione di Lazzaro, ancora una volta a tavola, la continua pedagogia sublime del desco familiare di Gesù. Oh se la Chiesa vivesse a tavola, oh se la famiglia, piccola Chiesa domestica, fosse una chiesa profumata, perché dove c’è il profumo di verità, povertà, bontà, semplicità, lì c’è l’amore vero, adulto, intero e gratuito.

La questione è sempre la stessa: il servizio di Marta o l’amore di Maria.

Protagonista è il profumo che di per sé è sempre provocante e che, per sua natura, si dona, diffondendo piacere, gioia, finezza, mistero, delicatezza.

Entra in scena una donna. Matteo e Marco non le danno nome, Giovanni la indica come Maria la sorella di Lazzaro, Luca la peccatrice.

Quale donna sia, prese la bottiglia di alabastro a collo sigillata, la rompe e versa il profumo. Solo un’innamorata colma fa così.

Ne prende una libbra, un terzo di chilogrammo, è nardo puro, un profumo molto prezioso.

Viene dall’India e la qualità migliore cresce sulle pendici a 5000 m ed è fatto con le radici del fiore di nardo.

Giuda, l’economo del gruppo, ne valuterà il costo in 300 denari, lui che svendette il Maestro per 30, e 300 denari erano il salario medio per un anno di un lavoratore.

Maria compie allora un atto folle che può spingerci a dire che l’unica misura dell’amore è il non avere misura. Maria rischia, butta il cuore oltre la siepe, tocca, tocca da donna e azzarda, accarezza, lava, asciuga i piedi, anticipando quello che farà il Maestro dopo alcuni giorni.

E l’olio profumato a cosa serviva e a cosa serve oggi?

Allietare un volto, consacrare i sacerdoti, i re, i profeti, i morti, luoghi e oggetti di culto.

Qui alle ore 20 di sabato mi sono fermato e sono salito in camera accompagnato dal canto mistico delle campane dell’Ave Maria della sera, dal profumo segnante della vita di Toni, della Maria Rosa e di Luca, avvolti dal tintinnare leggero della pioggia.

UN SALTO A BETANIA

Mi era sembrato di aver visto una piccola profumeria a Betania, a fine settembre 2014, per la laurea di Gesù a Gerusalemme dopo 110 incontri ed esami.

Ieri mattina presto ho fatto un salto in questa piccola città palestinese, e mi sono messo in fila. Davanti a me, tre donne dal viso triste e con lo sguardo fisso al muro che divide Israele dalla Palestina.

Il loro sguardo profumava di gentilezza e ho posto una domanda: “Chi fu a donare a Gesù qualche cosa?” “Soltanto Maria”, ripose sicura la donna dietro di me. Venuto il mio turno ho chiesto alla farmacista una dose di profumo di nardo. Stavo per uscire, quando l’altra donna mi chiese decisa: “Chi fu in tutta la vita di Gesù ad ungerlo?” “Non so”, risposi, e lei di rimando: “Sempre Maria”

Il tempo non mi mancò per uno sguardo lungo il Muro. Mi sedetti e riflessi con la mente e il cuore questo racconto del Vangelo giovanneo. “Che spreco”, tuonarono duemila anni fa i discepoli, e non poterono dire altro, perché a loro non risultava chiara la differenza tra economia dello scambio ed economia del dono, che di solito non fa molte domande.

La parola forte è di Giuda, il cassiere, quello che tiene la borsa comune e che affitta i poveri senza profumo, mettendoli di traverso, in maniera furba, calcolata, perfida.

Maria ha capito la povertà di Gesù, ama questa povertà, la unge, l’asciuga, la indica, la offre a noi uomini spesso palestrati e unti di niente del Duemila.

QUARESIMA DI FESTA

Forse bisognerà ungersi da soli nel nostro cuore, nelle nostre cucine e camere, anche nei loculi privati che ci siamo costruiti.

Proviamo ad entrare nella profumeria di una chiesa, di una fabbrica, di una stalla betlemita, di un’aula scolastica, per strada, di un carcere, di una stanza di ospedale, su una vetta di un 8000, sull’orma faticosa di un nostro passo, non di rado impedito.

Che forse sia lì nascosto il nostro nardo? Compriamolo senza badare alla spesa, perché la previsione di Gesù non ha trovato smentita in 2000 anni di cristianesimo: “I poveri li avrete sempre con voi” e l’impegno nostro sarà di ungere e asciugare un povero, perché lì abita il concia brocche nazaretano.

Una Quaresima di festa potrebbe aiutarci a transitare da un cristianesimo tradizionale a uno di convinzione, da un cristianesimo meno borghese, devozionalistico e superficiale a un cristianesimo profumato di senso, eternità, frugalità, libertà.

Allora: Quaresima di azione o di preghiera?

Portiamo nel cuore e poniamo questa domanda ad una persona a caso che questa sera incontriamo e riportiamo qui la risposta, posiamolo nella giara del profumo.

“Marta, Marta” come il “Renzo, Renzo” manzoniano, è il richiamo più colossale, lieve, tremendo e senza appello.

E’ fatto per nome e due volte, risultando dolce e solenne.

Marta forse naviga, Maria è già in porto, verso la Pasqua.

L’incontro domestico della convivialità di Betania, è un capolavoro di insegnamento, è lezione di carne, è l’indicazione sicura del possibile.

Dio in Gesù ha un corpo e credo che mai sia stato un asceta impassibile, un protagonista senza profumo.

Ha insegnato con parabole allusive e prese dalla vita dei campi. Ha avuto compassione delle folle, ha pianto, si è arrabbiato, ha abbracciato i bambini, ha incrociato volti, ha ascoltato sguardi.

E se incrociasse oggi il mio volto, incrocerebbe quello di Marta o di Maria?

Per finire, c’è quel “Lasciala fare” detto da Gesù, che forse non riguarda solo il profumo, bensì le modalità corporee di esprimere il suo amore e che potrebbe rivelare l’opzione pedagogica e umana di Dio fatto uomo, anche negli affetti.

Mi piacerebbe introdurre la figura dell’inserviente di sala cercatore, la persona che ci accoglierà lunedì prossimo con la bisaccia dove introdurre i nostri piedi e quelli chiesti in prestito, magari una scarpa usata da quella persona capace di aiutarci verso l’alba della Pasqua prossima liberata dalla prima passione triste, quella persona capace di avvertirci che il futuro mai deve essere colto come una minaccia, bensì come una promessa viva.

Accoglieremo da questa sera e per sei volte storie di piedi chiesti in prestito, sulle orme dei quali potremo scorgere frammenti e storie di sogni, lacrime, paure, fatiche, speranze, vittorie, sconfitte, stanchezze e gioie, deposte sull’orma del mondo.

Comincerà Francesco Santon, alpinista e amico.

Cinque anni fa, come oggi, Felice Dal Sasso completava l’orma della sua vita e lasciava in eredità, anche a noi, la sua freschezza e la sua verità.

Buona Quaresima, quella lieta e di festa.

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Il CAMMINATORE-TESTIMONE che ha motivato i piedi scelti e chiesti "in prestito", per camminare e vivere la Quaresima 2015 ed oltre è Francesco Santon, alpinista.

Arrivi in cima alle montagne, con il cielo coperto di stelle, e guardi in fondo, oltre perfino le stelle, e capisci quanto piccolo sei. In fondo c'è l'infinito...c'è Dio, é chiaro che è Dio. È capitato che Dio abbia mandato un uomo, Ubaldo Rei, una guida alpina di Courmayer, che era stato sul K2 nel '54 con Desio, Compagnoni, Lacedelli. Nel '76 ero in Nepal, stavamo scalando il Daulaghiri, dovevamo raggiungere il campo 4 a 7100 metri. Eravamo saliti lentamente a testa bassa, sorpresi dal brutto tempo e da un forte vento. Il nostro respiro si trasformava in pezzi di ghiaccio che ti saltava da tutte le parti. Piazziamo la tenda e ci mettiamo dentro per la notte. Alle prime luci dell'alba, non riuscivo più a muovermi, ero bloccato dentro il sacco a pelo e muovevo a malapena le braccia, avevo perso tutte le forze, il corpo non mi rispondeva. Cercando di mettermi seduto, ho preso il taccuino e con la mano tremante mi sono messo a scrivere ma trascinavo le parole quasi fuori dal foglio. Improvvisamente ho ricordato quando, tempo prima, eravamo andati a Courmayer a trovare Ubaldo Rei e gli avevo chiesto qualche consiglio per affrontare un 8000. Mi aveva risposto così: "se mentre state scrivendo nel vostro taccuino vedete le parole allungarsi e ingrandirsi a dismisura rispetto alla vostra normale scrittura, scendete immediatamente al campo base perchè avete esaurito tutte le forze e, anche se non sentite alcun dolore, siete sul punto di morire dolcemente". Era vero, stavo benissimo ma stavo morendo. Chissà se non avessi conosciuto Ubaldo Rei come sarebbe andata a finire.

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5 inviati sono intervenuti su quello che durante l'evolversi dell'incontro ha suscitato il loro interesse.

Davide Torresan, 25 anni - Il sapore della serata

Il sapore che questa sera io ho gustato è quello del pane fresco, che si può condividere. Gesù è di casa qui, è fatto di semplicità, è un Gesù che aggiusta tutto.

Giacomo Dal Sasso, 16 anni - Il volto della serata

Vorrei vedere Dio, toccarlo con mano, ma penso che il tatto e la vista siano sensi troppo umani per vedere Dio. Penso che invece il profumo sia perfetto perché è la giusta mescolanza tra i due. Per arrivare a Dio occorre seguire la scia del profumo che lui lascia nella nostra quotidianità.

Francesca Gaio, 30 anni - Il colore della serata

Il colore di questa serata é il bianco, ma c'è bianco e bianco. Il bianco che mi piace è quello della trottola che, seppur colorata, quando gira veloce diventa bianca, e il bianco in questo caso accoglie tutti i colori. Tutti assieme formiamo il bianco.

Nikita Calmo, 14 anni - L'aggettivo della serata

Questa serata è per me nuova, perchè è un modo diverso di pregare, un percorso in cui tutti si confontano e io posso essere ascoltata da tante persone. È poi una serata generosa, perchè mi offre tante cose senza chiedermi niente in cambio se non di dire quello che penso. Infine ho capito che questa serata è unica, perchè non potremo mai rivivere le stesse emozioni.

Matteo Ambrosi, 14 anni - Il verbo della serata

E' dal 14 novembre 2014 che seguo e partecipo alle attività della Comunità Villa San Francesco, da quando con la mia classe del Liceo Scientifico Dal Piaz sono andato in visita al Museo dei Sogni.

I verbi con cui mi sento di definire l'incontro di questa sera sono esplorare e immedesimarsi.

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Al termine dell'incontro 5 reporter, ragazzi della Comunità e giovani esterni, hanno inviato direttamente dalla Casa Emmaus in varie parti del mondo un messaggio:

  • Yodit un sms a Giovanni Bachelet a Roma
  • Teresa un disegno al Centro Aletti di Roma
  • Marcelle una lettera alla Presidente del Brasile
  • Marika ha relazionato su twitter
  • Andrea ha inviato una foto

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