Rassegna stampa

31/01/2013

Dove i sogni diventano realtà

Gennaio 2013 - Messaggero di Sant'Antonio - Dove i sogni diventano realtà

Gennaio 2013 - Messaggero di Sant'Antonio - Dove i sogni diventano realtà

Messaggero di Sant'Antonio - Gennaio 2013

Varcare la soglia del Museo dei sogni, memoria, coscienza e presepi è un tuffo nell’inaspettato. Intanto perché, nella campagna isolata alla periferia di Feltre, incantevole cittadina del bellunese, non ci si attende di trovare uno scrigno capace di effondere tante emozioni. Poi, mentre la visita si dipana come dentro scatole cinesi, con le sezioni che nascono e si sviluppano l’una dall’altra, dal macro al micro, dall’esterno all’interiorità, il visitatore incappa in un gioco di specchi, questa volta «formanti». Perché la visita non comporta solo il godere di raccolte artistiche ed esposizioni naturalistiche come in un comune museo: accuratamente guidato dai responsabili, il tour si propone come un viaggio dentro se stessi, un tempo di contatto con l’intimità profonda, opportunità per interrogarsi e per stare in ascolto. Non a caso viene scelto, per momenti di ritiro, da singoli, credenti e non, da associazioni, gruppi parrocchiali, classi scolastiche, seminaristi, catechisti, religiosi, vescovi, educatori. Duecentomila persone solo negli ultimi cinque anni. Un successo che Aldo Bertelle, il capofila dell’opera, dipinge stringatamente: «È la forza delle idee che fa l’impresa. Ma bisogna produrre qualità, occorre credere nelle risorse e nella carità».

Parole di una verità dirompente che si comprendono man mano se ne conosce l’origine. Da quando aveva vent’anni, Bertelle è direttore della Comunità Villa San Francesco a Facen di Pedavena (BL), una struttura che si occupa di minori in difficoltà. «Dal 1975 almeno seimila ragazzi e ragazze sono stati ospiti della comunità – spiega –. Abbiamo sempre detto loro che devono camminare con le proprie gambe, non piangersi addosso, ma credere in ciò che sono, poiché in tutti c’è un disegno da esprimere. Da qui il significato di questo luogo e l’aver puntato sulla ricchezza delle diversità». La diversità di alcuni giovani della Comunità che hanno costituito una cooperativa sociale che ora gestisce il Museo; la diversità delle testimonianze che nel luogo sono raccolte; la diversità geografica e naturale che qui diventa letteralmente «uno».

Tra le vetrine delle sale museali ci si imbatte nella terra della tomba di Abramo Lincoln, nella maschera usata in alcuni concerti da Fabrizio De André, in un seggio utilizzato durante il Concilio Vaticano II, in un frammento della scuola di don Lorenzo Milani a Barbiana. E poi via tra ricordi di tutti i luoghi e di diverse epoche: monte Toc (Vajont), Lour des, piazza San Pietro a Roma sul punto dell’attentao a papa Giovanni Paolo II, Qumran. C’è un frammento di tegola bombardata a Hiroshima, regalo del nipponico Museo commemorativo della Pace, unico esemplare fuori Giappone insieme con un altro conservato al Palazzo di Vetro dell’Onu. All’esterno un vecchio carro merci in legno, usato per le deportazioni nei campi di concentramento nazisti. «Il Museo parte dal concetto che l’umanità, pur divisa

in realtà geografiche e contingenti assolutamente diverse, condivide lo stesso destino – sottolinea il responsabile –. Ciò che succede nei Paesi del mondo tocca tutti noi. E allora abbiamo pensato di far conoscere queste storie, queste esperienze significative. Di leggerle con partecipazione consapevole, così da imparare e crescere». Qui si tocca e ci si fa toccare dalla testimonianza unita di Yasser Arafat e di Yitzhak Rabin, di Nelson Mandela, Giovanni Falcone, Rosario Livatino, san Giovanni Bosco, don Orione, santa Faustina Kowalska, Antonio Rosmini, fratel Carlo Carretto, Aldo Moro, Alessandro Manzoni, don Andrea Santoro, Giuseppe Verdi, monsignor Oscar Romero. Testimonianze che si generano per contagio e creano una coscienza plurale.

Un avvio provvidenziale «I ragazzi che volevano fondare la cooperativa cercavano un posto in cui abitare e lavorare − ricorda Bertelle −. Alcuni conoscenti ci segnalarono questo cascinale di Feltre, che l'Ulss aveva messo in vendita. Noi non avevamo le risorse per acquistare la struttura; era fatiscente e alla fine i dirigenti Ulss ce la concessero con un comodato d’uso di trent’anni. Era il 1986. Per un anno i nostri ragazzi vissero altrove, poiché mancavano anche i servizi igienici, poi si creò la prima unità abitativa e subito l’azienda floricola, loro attività principale. Perché il riscatto passa per il lavoro,che va santificato giorno per giorno». C’è qualcosa di epico nel racconto delle origini del Museo.

Aldo Bertelle finge di scivolare morbidamente tra i ricordi, ma certe pieghe impreviste della storia, anche a distanza di anni, lo costringono a soffermarsi cauto. È evidente l’attrito con la razionalità, ma profuma di mistero e si scioglie nell'abbandono. «Per una dozzina di anni abbiamo proseguito tra azienda, casa, formazione e piccole accoglienze − continua il direttore del museo dei sogni −. Nel 1998, in occasione del cinquantesimo compleanno della Comunità, i ragazzi si soffermarono a riflettere sul tema della famiglia, a partire da quella di Nazaret. Nacque in questo modo la prima rassegna mondiale dei presepi: un po’ da matti, convocammo le ambasciate di tutti i Paesi, i nunzi apostolici e, in breve, ci giunsero rappresentazioni della Natività da 152 nazioni. Erano di tanti tipi e materiali e questo fu il primo nucleo del Museo. Ci piacque continuare su tale linea e da allora, ogni lunedì sera, in Comunità, si svolge un incontro di preghiera aperto a tutti. Per tre anni abbiamo meditato sul tema della strada, decidendo infine di scrivere ai capi di Stato e chiedere che ci inviassero un’idea, un sogno, un’utopia del loro Paese e una manciata della terra, o un sasso, in cui questo sogno è stato seminato, coltivato, irrigato, anche a prezzo del sangue. E dopo la terra abbiamo cominciato a richiedere e a raccogliere l’acqua, poi la luce e quest'anno i fili da tessere per costruire insieme le tende del mondo (in mostra quest’anno)».

Ma torniamo indietro: rimaneva da risolvere il problema logistico. «Nel frattempo la casa era stata sistemata – prosegue Bertelle –, con esclusione del tetto, dell'impianto idraulico e di quello elettrico. Però la Provvidenza esiste! L’impianto idraulico ci è stato regalato da un artigiano che, partito dal nulla con la sua attività, era riuscito a creare una grossa impresa e aveva deciso di svolgere un intervento gratis per restituire il tanto che aveva ricevuto. Quando mancavano otto anni di comodato, l'Ulss decise di mettere in vendita la struttura; per comperarla occorrevano 260 mila euro e così nacque un “consorzio di solidarietà” per aiutarci: chiedevamo alle persone un contributo, al massimo di 250 euro, oppure preghiere. Alla fine, quando c’era bisogno ancora di 136 mila euro, e gli avvocati ci spingevano a fare un mutuo, arrivò una raccomandata. Eravamo appena tornati dal viaggio in Europa con la luce di Betlemme e fu sorprendente scoprire che era stato intestato a noi un testamento di – esatti – 136 mila euro. Nessuno di noi conosceva Caterina Tripodi, la signora che ci lasciò la somma di denaro… Abbiamo acquistato la casa, abbiamo proseguito con la raccolta dei simboli e, oggi, il Museo è patrimonio di tutti coloro che credono nel suo messaggio».

 

Cinzia Agostini

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